- Da Charles a Flavio: raccontaci brevemente della tua formazione come artista.
Sfioravamo
le trecento copie come tiratura e abbiamo realizzato sei numeri.
Facevo tutto, ovvero dalla grafica alla stesura delle presentazioni
degli autori. Curavo la fase delle fotocopie e la rilegatura a mano,
poi la distribuzione nelle librerie di Ravenna. Alcuni dei giovani
che abbiamo pubblicato su Supertranquillo,
adesso si muovono con impegno e nel mondo del fumetto e hanno
pubblicato dei libri. E due autori ci hanno seguito, aiutato e
consigliato, ovvero Davide Reviati e Gipi. Ci hanno assistito in due
modi molto diversi ma importantissimi entrambi. Poi
ho collaborato come vignettista e illustratore a un po’ di riviste,
piccoline e locali.
- Il tuo graphic novel è una biografia, genere piuttosto diffuso nel mondo del romanzo a fumetti. Cosa ti ha portato a questa scelta?
Quando
ho cominciato a fare Goodbye
Bukowski, non mi
rendevo conto che la biografia è un genere diffuso. Non pensavo a
quello. Ma anche adesso, non la vedo come una preoccupazione o come
un freno. A me piace il genere biografico e può essere che in futuro
ne farò altre, di biografie a fumetti.
Ad
esempio, uno dei miei film preferiti in assoluto è Basquiat
di Julian Schnabel, che è appunto
sulla
vita di Jean-Michel Basquiat, il pittore. Questo film non è
riconosciuto come un capolavoro della storia del cinema, eppure per
me è pieno di umanità e di rispetto verso la figura di Basquiat,
oltre che narrato molto bene. E’ un film semplice e complesso
insieme. Ho deciso di esordire con una biografia perché, se mi
interessa la figura del protagonista e il periodo storico, è un
genere che mi mette a mio agio. In questo caso, combaciavano tutti
gli elementi e sentivo che era la cosa che dovevo fare in quel
momento, che era il 2009.
- Come hai deciso di sviluppare un personaggio così delicato e conosciuto (e inflazionato) come Charles Bukowski?
Non
intendo nascondere che ho amato moltissimo Bukowski e lo amo tuttora,
sia come scrittore che come figura. Ad un certo punto non mi bastava
più ri-leggere un libro di Bukowski, perché dopo sette giorni al
massimo era finito. Quindi, ho avuto bisogno di dedicargli un libro
mio, cioè i miei pensieri, la mia attenzione… per prolungare la
sua presenza nel tempo. Avevo bisogno di stare lì, di disegnarlo, di
sentirlo muoversi, camminare, parlare, bere, pensare. E’ nato così.
Da una necessità che avvertivo chiaramente. Anche se Bukowski è
inflazionato, io mi sono preso comunque il privilegio di poter dare
la mia visione di lui e realizzarla con i miei ritmi.
- L'immagine comune di Bukowski è quella dell'artista sciupato, che vive di eccessi. L'aspetto dell'alcolismo affianca però un altro tema centrale del tuo graphic novel: il rapporto con le donne (le amanti, le mogli, le figlie).
In
Goodbye Bukowski
c’è il rapporto dello scrittore con tre donne adulte, ma il più
importante è quello con sua piccola figlia Marina. Per quel che
riguarda gli incontri amorosi, c’è il rapporto con Diana, che
conosce in un reading di poesie e che vuole fare una scultura della
faccia di Bukowski.
C’è
il ricordo di un amore perduto, una ragazza che si chiama Jane, con
cui Bukowski ha trascorso
dieci
anni, dai venticinque ai trentacinque. E c’è il rapporto con
Linda, una donna molto diversa da lui, che lo ha accompagnato
nell’ultimo periodo. Le tre donne sono molto diverse tra loro, in
tutto. Queste diversità sono state fin da subito per me, motivo di
fascino. Come anche il fatto che il protagonista ha visto, quando era
giovane, un’America che non ha più nulla a che vedere con quella
della società attuale.
- In Goodbye Bukowski emerge anche una certa idea dell'arte. Ce ne vuoi parlare? Il protagonista dice a un certo punto: “perdonatemi, vi ho dato la mia anima e voi a me i vostri soldi”. Condividi questo punto di vista sulla posizione dell'artista? Cosa pensi che significhi essere un autore di fumetti?

Per
me, essere un autore di fumetti vuol dire “Tentare di rinunciare al
mondo reale, per ricrearlo su una serie di fogli di carta”.
Essenzialmente è questo. E quando dico rinunciare, intendo che
mentre tu sei al tavolo da disegno, fuori il mondo va avanti. Ma la
rinuncia è una componente fondamentale del processo di creazione….è
come dire, o disegni, o vivi nel mondo che sta fuori. Scegli, una
cosa o l’altra. Per me, è questo. E per non essere frainteso,
specifico che per me è piacevole farlo. Però se un giorno la mia
visione cambierà, te lo dirò.
- Attraverso la figura della figlia di Bukowski e del piccolo Teddy, rifletti sul ruolo degli adulti nelle vita dei bambini: l'impatto dell'ambiente circostante, l'influenza dei genitori, l'ingenuità con la quale i bambini interpretano la realtà...Cosa mi dici a proposito?
Marina,
(la figlia di Bukowski) e Teddy (il bambino che abita di fronte a
casa sua) sono due figure molto diverse. Marina è una bambina
tranquilla e, per contrappunto, Teddy è scalmanato. Sono due poli
opposti dell’infanzia e non solo… Servivano per vedere
trasversalmente il rapporto tra adulti e bambini. Bukowski sa
ascoltare sua figlia, invece i genitori di Teddy non sanno farlo.
E’
il comportamento degli adulti che influenza i piccoli. L’ingenuità
è una componente dell’infanzia per me affascinante perché
comunque è a sua volta una lettura del mondo, un punto di vista,
anche se infantile. Magari interessante, proprio perché semplice,
ecco. Sono due parentesi brevi, queste dell’ingenuità. Nel fumetto
la voce narrante è quella di Bukowski, e la presenza dei bambini
contrasta con il mondo adulto.
- Per realizzare il libro hai impiegato un lasso di tempo piuttosto lungo. Che tipo di studio hai compiuto, sia per la realizzazione delle immagini che per quanto riguarda la riflessione e l'elaborazione del testo?
Ci sono state delle pause, che per me sono necessarie
per capire un po’ cosa sto facendo, e vedere come risultano le
scene. Per quel che riguarda le immagini, il mio sogno sarebbe stato
quello di poter avere Bukowski di fronte a me e ritrarlo decine e
decine di volte. Ma questa è pura utopia, non è possibile. Per
questo, è stato d’obbligo guardare delle fotografie e dei filmati,
le uniche tracce che ci restano oggi della sua fisicità.
Per
ciò che riguarda il testo, una delle idee motrici di questa graphic
novel era quella di vedere Bukowski che parla con parole sue. E poi,
poter andare con il fumetto dove con un film non puoi andare, perché
bisognerebbe trovare un attore che somigli a Bukowski, e nessuno gli
assomiglia. Quindi, disegnandolo, si compie questa piccola magia,
Charles “riprende vita”, cammina, parla con sua figlia e con le
sue donne, pensa, si guarda dentro e ricorda il suo passato.
Bukowski
aveva un modo di parlare molto particolare, (oltre che un modo di
scrivere, ovviamente) e ho cercato di farlo parlare il più possibile
con parole sue appunto, riadattandole un minimo dove ce n’era
bisogno, per i toni della scena o della storia nell’ insieme.
Nella
lavorazione di Googbye
Bukowski è stato
importante il supporto di Igort, che ha creduto nel libro e mi ha
aiutato con preziosi consigli che mi portavano a delle riflessioni.
Per la parte dei testi, è stato importante l’aiuto della
redattrice Orsola Mattioli. E, verso la fine del libro, è stata
fondamentale un’idea della traduttrice Simona Viciani. Ringrazio
sentitamente tutti e tre, perché se il libro adesso ha questa forma
è anche grazie a loro.