martedì 26 giugno 2012

Oltre Bukowski: intervista a Flavio Montelli

Goodbye Bukowski, biografia a fumetti che indaga in profondità una delle figure più leggendarie della letteratura contemporanea e della cultura underground americana, è uscito da pochissimo per i tipi di Coconino Press. L'autore, Flavio Montelli, che proprio in questi giorni è ospite allo stand Coconino per la mostra dell'editoria cinematografica a Bologna, ci ha raccontato genesi, sviluppo e realizzazione del progetto. E altro ancora...


  • Da Charles a Flavio: raccontaci brevemente della tua formazione come artista. 
 Il primo fumetto che ho fatto, a nove anni, era una storia di settanta pagine a matita, parlava di uomini primitivi e dinosauri. Quasi una piccola graphic novel, a pensarci adesso. Ma è stato un caso, non avevo nessuna coscienza del medium, però ovviamente c’era la passione, che nell’infanzia può essere veramente molto forte, perché univoca. Nel mio tempo libero disegnavo e scrivevo soltanto, poi evitavo i compiti come la peste. La passione mi ha accompagnato negli anni, in seconda media realizzai un mini-comics fotocopiato, il pidocchio, che regalavo ai miei compagni di classe. Il professore di tecnica, che si riconobbe disegnato, lo volle addirittura comprare. Anni dopo, in Quinta liceo fondai una fanzine di fumetto d’autore, per raccogliere i lavori dei giovani fumettisti più interessanti che vedevo attorno a me e unirci in una squadra. Per stampare Supertranquillo (questo è il nome della fanzine) ho usato la fotocopiatrice del Teatro delle Albe, con l’ok datomi dal regista teatrale Marco Martinelli e da sua moglie Ermanna Montanari, che hanno gentilmente sostenuto il progetto.
Sfioravamo le trecento copie come tiratura e abbiamo realizzato sei numeri. Facevo tutto, ovvero dalla grafica alla stesura delle presentazioni degli autori. Curavo la fase delle fotocopie e la rilegatura a mano, poi la distribuzione nelle librerie di Ravenna. Alcuni dei giovani che abbiamo pubblicato su Supertranquillo, adesso si muovono con impegno e nel mondo del fumetto e hanno pubblicato dei libri. E due autori ci hanno seguito, aiutato e consigliato, ovvero Davide Reviati e Gipi. Ci hanno assistito in due modi molto diversi ma importantissimi entrambi.  Poi ho collaborato come vignettista e illustratore a un po’ di riviste, piccoline e locali.
  • Il tuo graphic novel è una biografia, genere piuttosto diffuso nel mondo del romanzo a fumetti. Cosa ti ha portato a questa scelta?
Quando ho cominciato a fare Goodbye Bukowski, non mi rendevo conto che la biografia è un genere diffuso. Non pensavo a quello. Ma anche adesso, non la vedo come una preoccupazione o come un freno. A me piace il genere biografico e può essere che in futuro ne farò altre, di biografie a fumetti.
Ad esempio, uno dei miei film preferiti in assoluto è Basquiat di Julian Schnabel, che è appunto
sulla vita di Jean-Michel Basquiat, il pittore. Questo film non è riconosciuto come un capolavoro della storia del cinema, eppure per me è pieno di umanità e di rispetto verso la figura di Basquiat, oltre che narrato molto bene. E’ un film semplice e complesso insieme. Ho deciso di esordire con una biografia perché, se mi interessa la figura del protagonista e il periodo storico, è un genere che mi mette a mio agio. In questo caso, combaciavano tutti gli elementi e sentivo che era la cosa che dovevo fare in quel momento, che era il 2009.


  • Come hai deciso di sviluppare un personaggio così delicato e conosciuto (e inflazionato) come Charles Bukowski?
Non intendo nascondere che ho amato moltissimo Bukowski e lo amo tuttora, sia come scrittore che come figura. Ad un certo punto non mi bastava più ri-leggere un libro di Bukowski, perché dopo sette giorni al massimo era finito. Quindi, ho avuto bisogno di dedicargli un libro mio, cioè i miei pensieri, la mia attenzione… per prolungare la sua presenza nel tempo. Avevo bisogno di stare lì, di disegnarlo, di sentirlo muoversi, camminare, parlare, bere, pensare. E’ nato così. Da una necessità che avvertivo chiaramente. Anche se Bukowski è inflazionato, io mi sono preso comunque il privilegio di poter dare la mia visione di lui e realizzarla con i miei ritmi.

  • L'immagine comune di Bukowski è quella dell'artista sciupato, che vive di eccessi. L'aspetto dell'alcolismo affianca però un altro tema centrale del tuo graphic novel: il rapporto con le donne (le amanti, le mogli, le figlie).
In Goodbye Bukowski c’è il rapporto dello scrittore con tre donne adulte, ma il più importante è quello con sua piccola figlia Marina. Per quel che riguarda gli incontri amorosi, c’è il rapporto con Diana, che conosce in un reading di poesie e che vuole fare una scultura della faccia di Bukowski.
C’è il ricordo di un amore perduto, una ragazza che si chiama Jane, con cui Bukowski ha trascorso
dieci anni, dai venticinque ai trentacinque. E c’è il rapporto con Linda, una donna molto diversa da lui, che lo ha accompagnato nell’ultimo periodo. Le tre donne sono molto diverse tra loro, in tutto. Queste diversità sono state fin da subito per me, motivo di fascino. Come anche il fatto che il protagonista ha visto, quando era giovane, un’America che non ha più nulla a che vedere con quella della società attuale.

  • In Goodbye Bukowski emerge anche una certa idea dell'arte. Ce ne vuoi parlare? Il protagonista dice a un certo punto: “perdonatemi, vi ho dato la mia anima e voi a me i vostri soldi”. Condividi questo punto di vista sulla posizione dell'artista? Cosa pensi che significhi essere un autore di fumetti?
Condivido, alcuni artisti ti regalano la loro anima, altri non lo fanno e non ci pensano nemmeno. Ci sono molti approcci all’arte. C’e un approccio puramente mentale e un altro che parte dal cuore. A seconda dell’approccio che prenderai, sarà più o meno facile dare l’anima nell’opera che stai realizzando.
Per me, essere un autore di fumetti vuol dire “Tentare di rinunciare al mondo reale, per ricrearlo su una serie di fogli di carta”. Essenzialmente è questo. E quando dico rinunciare, intendo che mentre tu sei al tavolo da disegno, fuori il mondo va avanti. Ma la rinuncia è una componente fondamentale del processo di creazione….è come dire, o disegni, o vivi nel mondo che sta fuori. Scegli, una cosa o l’altra. Per me, è questo. E per non essere frainteso, specifico che per me è piacevole farlo. Però se un giorno la mia visione cambierà, te lo dirò.

  • Attraverso la figura della figlia di Bukowski e del piccolo Teddy, rifletti sul ruolo degli adulti nelle vita dei bambini: l'impatto dell'ambiente circostante, l'influenza dei genitori, l'ingenuità con la quale i bambini interpretano la realtà...Cosa mi dici a proposito?
Marina, (la figlia di Bukowski) e Teddy (il bambino che abita di fronte a casa sua) sono due figure molto diverse. Marina è una bambina tranquilla e, per contrappunto, Teddy è scalmanato. Sono due poli opposti dell’infanzia e non solo… Servivano per vedere trasversalmente il rapporto tra adulti e bambini. Bukowski sa ascoltare sua figlia, invece i genitori di Teddy non sanno farlo.
E’ il comportamento degli adulti che influenza i piccoli. L’ingenuità è una componente dell’infanzia per me affascinante perché comunque è a sua volta una lettura del mondo, un punto di vista, anche se infantile. Magari interessante, proprio perché semplice, ecco. Sono due parentesi brevi, queste dell’ingenuità. Nel fumetto la voce narrante è quella di Bukowski, e la presenza dei bambini contrasta con il mondo adulto.

  • Per realizzare il libro hai impiegato un lasso di tempo piuttosto lungo. Che tipo di studio hai compiuto, sia per la realizzazione delle immagini che per quanto riguarda la riflessione e l'elaborazione del testo?
Il libro mi ha occupato tre anni, ma non ho sceneggiato e disegnato tutti i giorni.  
Ci sono state delle pause, che per me sono necessarie per capire un po’ cosa sto facendo, e vedere come risultano le scene. Per quel che riguarda le immagini, il mio sogno sarebbe stato quello di poter avere Bukowski di fronte a me e ritrarlo decine e decine di volte. Ma questa è pura utopia, non è possibile. Per questo, è stato d’obbligo guardare delle fotografie e dei filmati, le uniche tracce che ci restano oggi della sua fisicità.
Per ciò che riguarda il testo, una delle idee motrici di questa graphic novel era quella di vedere Bukowski che parla con parole sue. E poi, poter andare con il fumetto dove con un film non puoi andare, perché bisognerebbe trovare un attore che somigli a Bukowski, e nessuno gli assomiglia. Quindi, disegnandolo, si compie questa piccola magia, Charles “riprende vita”, cammina, parla con sua figlia e con le sue donne, pensa, si guarda dentro e ricorda il suo passato.
Bukowski aveva un modo di parlare molto particolare, (oltre che un modo di scrivere, ovviamente) e ho cercato di farlo parlare il più possibile con parole sue appunto, riadattandole un minimo dove ce n’era bisogno, per i toni della scena o della storia nell’ insieme.
Nella lavorazione di Googbye Bukowski è stato importante il supporto di Igort, che ha creduto nel libro e mi ha aiutato con preziosi consigli che mi portavano a delle riflessioni. Per la parte dei testi, è stato importante l’aiuto della redattrice Orsola Mattioli. E, verso la fine del libro, è stata fondamentale un’idea della traduttrice Simona Viciani. Ringrazio sentitamente tutti e tre, perché se il libro adesso ha questa forma è anche grazie a loro.





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