Il sito Lo Spazio Bianco ha pubblicato due interviste svoltesi durante il festival Komikazen, che si è concluso ieri a Ravenna.
Caterina Sansone e Alessandro Tota hanno raccontato genesi e sviluppo di Palacinche. Storia di un'esule fiumana (pubblicato da Fandango), in cui il fumetto si mette al servizio della fotografia per raccontare il doppio viaggio di Elena, l'esule fiumana del sottotitolo e madre di Caterina e quello degli autori, armati di matite e macchina fotografica sulle tracce della storia e della memoria:
Palacinche recupera una parte della storia italiana di
cui si parla pochissimo: quella di una città di confine (Fiume/Rjieka),
che è passata di nazione in nazione e che l’Italia ha “perso” dopo la
Seconda Guerra Mondiale, e lo fa raccontando la storia di un’esule
fiumana, Elena, e del suo viaggio per tornare in Italia. Perché
recuperare una storia di settanta anni fa? Cosa pensate che dia in più
il racconto di una vita comune al racconto storico?
Caterina:
L’idea del libro è nata semplicemente da un’esigenza personale di
raccogliere le memorie della mia famiglia. Questa storia di famiglia,
però, mi sembrava potesse interessare anche altri, e non solo con lo
scopo di divulgare informazioni su un episodio storico in parte
misconosciuto: le storie di immigrazione e esilio sono comuni a ogni
epoca ed è spesso cercando nelle proprie radici che si trovano storie e
situazioni analoghe a quelle contemporanee.
Raccontare questa storia
era per me un modo di dire che il “diverso”, il profugo, è più vicino a
noi di quello che crediamo, e anche noi italiani lo siamo stati in
passato.
Quali sono state le difficoltà nel raccontare una storia familiare?Alessandro:
Lavorando sulle interviste la cosa diversa è che hai già tutta la
storia e devi occuparti di metterla in scena; il lavoro di invenzione
riguarda principalmente la forma e il tono del racconto. Per fare un
esempio, del primo capitolo esistono tre versioni, di cui una pubblicata
sulla rivista Animals. Ogni versione racconta la stessa cosa ma in un modo diverso. Ho cambiato approccio finché non ho trovato quello giusto.
Anche Davide Reviati è stato ospite del Komikazen, Festival internazionale del fumetto di realtà. Ed è proprio di realtà e della sua trasposizione sulla pagina, che parla Reviati a proposito di Morti di sonno.
“Morti di sonno” racconta la vita delle famiglie degli operai nel villaggio Anic. Quali difficoltà hai incontrato nel delineare questo microcosmo?
Difficoltà
di diversa natura, prima di tutto quelle che nascevano dal fatto di
essere molto coinvolto nella storia, di aver vissuto in prima persona
quei luoghi, di averne respirato il clima e le atmosfere. Questo mi
rendeva poco obiettivo e soprattutto condizionato dal timore di
allontanarmi troppo da un resoconto fedele dei fatti, da una presunta
veridicità di cronaca, per così dire, che non ha nulla a che fare con la
verità più profonda di una storia. Dalla luce di questa verità, che non
so definire meglio, bisognava farsi accompagnare durante tutto il
percorso, spesso molto buio; e non aver paura di tradire la realtà del
contingente, in nome di uno scopo che mi sembrava più importante.
Quali sono a tuo parere gli ingredienti per fornire una sorta
di ritratto generazionale, che prescinda dalle esperienze dei singoli?
Io
non prescindo mai dalle esperienze dei singoli, direi che è il mio
interesse principale. E forse è proprio attraverso quelle che si può
trovare uno sguardo più ampio; un piccolo microcosmo può emanare un’eco
universale. Per me è questo l’unico modo di affrontare le cose.
Per leggere l'intera intervista a Caterina Sansone e Alessandro Tota su Lo Spazio Bianco, clicca qui. Se invece cerchi quella di Davide Reviati clicca qui.
Nessun commento:
Posta un commento